Agevolazioni fiscali per persone con disabilità

Di seguito pubblichiamo un elenco aggiornato per agevolazioni fiscali per persone con disabilità.

Detrazioni IRPEF in caso di figli portatori di disabilità

Alla persona che ha fiscalmente a carico la persona disabile spettano le seguenti detrazioni IRPEF (inversamente proporzionale al reddito, con soglia massima 95.000 euro): 1.620 euro per ogni figlio fino a tre anni di età, 1.350 euro dai tre anni in su, ulteriori 200 euro per figlio a partire dal primo se con più di tre figli a carico.

La detrazione è calcolata in modo inversamente proporzionale al reddito e si annulla per redditi superiori ai 95 mila euro l’anno.
Veicoli

In caso di acquisto di veicoli destinati ad essere utilizzati, in via esclusiva o prevalente, a beneficio delle persone disabili spettano detrazione IRPEF del 19% della spesa d’acquisto ed IVA al 4% sull’acquisto, esenzione bollo auto ed imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà.

Le agevolazioni spettano una sola volta (cioè per un solo veicolo) nel corso di un quadriennio (decorrente dalla data di acquisto), a meno di furto (al netto dell’eventuale rimborso assicurativo) o cancellazione del precedente veicolo dal PRA, per demolizione.

L’erede può cedere il veicolo ricevuto in eredità dalla persona disabile anche prima dei due anni dall’acquisto con IVA al 4%, senza che questo comporti l’obbligo di dover versare la differenza d’imposta.
Le agevolazioni spettano a:

  • non vedenti e sordi
  • disabili con handicap psichico o mentale titolari dell’indennità di accompagnamento
  • disabili con grave limitazione della capacità di deambulazione o affetti da
    pluriamputazioni
  • disabili con ridotte o impedite capacità motorie permanenti (è obbligatorio l’adattamento del veicolo e le agevolazioni spettano anche per l’acquisto di motocarrozzette autoveicoli o motoveicoli per uso promiscuo, o per trasporto specifico del disabile).
Altri mezzi di ausilio e sussidi tecnici e informatici

Per l’acquisto di altri mezzi di ausilio e sussidi tecnici e informatici spettano:

  • la detrazione IRPEF del 19% della spesa d’acquisto di sussidi tecnici e informatici
  • l’IVA al 4% sull’acquisto
  • le detrazioni per le spese di acquisto e mantenimento cane guida per non vedenti
  • la detrazione IRPEF al 19% spese per i servizi di interpretariato dei sordi.

Per le spese effettuate per acquistare telefonini per sordomuti, sussidi tecnici e informatici e cucine, si può fruire della detrazione solo se sussiste il collegamento funzionale tra il sussidio tecnico informatico e la specifica disabilità, da attestare mediante certificazione rilasciata dal medico curante o dalla prescrizione autorizzativa rilasciata dal medico specialista dell’Asl di appartenenza, richiesta dal Dm 14 marzo 1998 per fruire dell’aliquota IVA agevolata.
Barriere architettoniche

Per gli interventi di ristrutturazione edilizia sugli immobili è possibile fruire di una detrazione IRPEF pari al:

  • 50%, da calcolare su un importo massimo di 96.000 euro, se la spesa è sostenuta nel periodo compreso tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2019
  • 36%, da calcolare su un importo massimo di 48.000 euro, per le spese effettuate dal 1° gennaio 2020.

Rientrano nella categoria degli interventi agevolati:

  • quelli effettuati per l’eliminazione delle barriere architettoniche (per esempio, ascensori e montacarichi)
  • i lavori eseguiti per la realizzazione di strumenti che, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo tecnologico, siano idonei a favorire la mobilità interna ed esterna delle persone portatrici di handicap grave, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
Spese sanitarie

Per le spese mediche generiche e di assistenza specifica è prevista la deduzione dal reddito complessivo dell’intero importo pagato.

Queste spese sono deducibili anche quando sono state sostenute per un familiare disabile non a carico fiscalmente.

Possono essere detratte dall’imposta, per la parte eccedente l’importo di 129,11 euro, anche da parte di chi ha il disabile a carico, le spese sanitarie specialistiche (per esempio, analisi, prestazioni chirurgiche e specialistiche).

Sono ammesse integralmente alla detrazione del 19%, senza togliere la franchigia di 129,11 euro, le spese sostenute per:

  • il trasporto in ambulanza del disabile
  • il trasporto del disabile effettuato dalla Onlus, che ha rilasciato regolare fattura per il servizio di trasporto prestato o da altri soggetti (per esempio il Comune) che hanno tra i propri fini istituzionali l’assistenza ai disabili
  • l’acquisto di poltrone per inabili e minorati non deambulanti e di apparecchi per il contenimento di fratture, ernie e per la correzione dei difetti della colonna vertebrale
  • l’acquisto di arti artificiali per la deambulazione
  • la costruzione di rampe per l’eliminazione di barriere architettoniche esterne e interne alle abitazioni (non cumulabile con i bonus ristrutturazioni)
  • l’adattamento dell’ascensore per renderlo idoneo a contenere la carrozzella e l’installazione e la manutenzione della pedana di sollevamento installata nell’abitazione della persona con disabilità (per la parte eccedente quella per la quale si fruisce della detrazione relativa alle spese sostenute per interventi finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche)
  • l’acquisto di cucine, limitatamente alle componenti dotate di dispositivi basati su tecnologie meccaniche, elettroniche o informatiche, preposte a facilitare il controllo dell’ambiente da parte dei disabili, specificamente descritte in fattura con l’indicazione di dette caratteristiche
  • mezzi necessari all’accompagnamento, alla deambulazione e al sollevamento dei disabili.
Assistenza personale

Per l’assistenza personale nei casi di “non autosufficienza” del disabile nel compimento degli atti della vita quotidiana sono previste le seguenti agevolazioni fiscali:

  • deduzione dei contributi (fino a 1.549,37 euro) per addetti a servizi domestici e assistenza personale o familiare
  •  detrazione spese per addetti all’assistenza personale (fino a 2.100 euro) per redditi fino a 40.000 euro.

La detrazione spetta anche per le spese sostenute per il familiare non autosufficiente (compreso tra quelli per i quali si possono fruire di detrazioni d’imposta), anche quando egli non è fiscalmente a carico e anche se le prestazioni di assistenza sono rese da:

  • una casa di cura o di riposo
  • una cooperativa di servizi
  • un’agenzia interinale.

LUTTO PER LA SCOMPARSA DELLA PRESIDENTE DI ANGSA VENETO SONIA ZEN

Oggi è una giornata di lutto per la nostra Associazione per la scomparsa di Sonia Zen, presidente di ANGSA Veneto. Donna straordinaria, dalle rare qualità umane, generosa, Sonia è stata sempre in prima linea per il riconoscimento dei diritti alle persone con autismo. Impegnata nella nostra Associazione da oltre 20 anni è stata anche consigliere nazionale nel mandato affidato alla presidente Liana Baroni. Nella sua regione è riuscita a coinvolgere nelle varie battaglia le istituzioni, gli operatori sanitari e le famiglie. Ha lavorato per gli Sportelli Autismo nelle scuole con grande senso di responsabilità. Sonia Zen lascia un vuoto immenso nei cuori delle persone che l’hanno conosciuta e apprezzata. La vogliamo ricordare con il suo coinvolgente sorriso come nella foto, in occasione del 2 aprile, quando Sonia incontrò il Presidente Sergio Mattarella. Giungano le più sentite condoglianze da tutte le ANGSA ai familiari e in particolar modo ai figli Ada, Matteo e Andrea.

“Apprendere questa notizia mi addolora profondamente – ha dichiarato la Presidente di ANGSA Umbria, Paola Carnevali Valentini -. “A Sonia mi legava una conoscenza ed una amicizia ventennale! Donna intelligente, sensibile e molto preparata. Angsa perde una figura che tanto ha dato alla causa dell’autismo. Spero che il grande lavoro da lei portato avanti in associazione possa avere continuità . Noi non ti dimenticheremo…”.

Nuovi modelli PEI: Certificazione delle competenze, debito di funzionamento e tabella fabbisogni

Torniamo sull’argomento “Nuovi modelli PEI” grazie ad un ulteriore approfondimento a cura di Graziella Roda. Riportiamo di seguito un articolo da lei scritto su certificazione delle competenze, debito di funzionamento e tabella fabbisogni.

  1. Certificazione delle competenze (sezione 10 del PEI)

“La certificazione delle competenze per il primo ciclo è regolata dal DLgs 62/2017, art. 9, e dal conseguente DM 742/17; per il secondo ciclo si fa ancora riferimento al DM 139 del 2007 e al DM 9 del 2010”.  Così recitano le linee guida. Quindi, in poche parole, il primo ciclo ha una strutturazione recente mentre il secondo ciclo no.

Di cosa stiamo parlando? Gli insegnanti lo sanno ovviamente, ma i genitori possono non avere ben chiara la genesi di questo aspetto valutativo.

Per il primo ciclo di istruzione (fino alla scuola secondaria di I grado compresa) questi sono i riferimenti normativi.

Il Decreto Legislativo 13 aprile 2017 n. 62 Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/05/16/17G00070/sg )

è uno dei decreti applicativi della Legge 107/2015, come dice l’intitolazione stessa.

Seguono i due Decreti ministeriali emessi in data 3 ottobre 2017: il n.741 “Esame di Stato conclusivo del I ciclo di istruzione” ( https://www.miur.gov.it/-/d-m-741-del-3-10-2017-esame-di-stato-conclusivo-del-primo-ciclo-di-istruzione ) e il n.742 “Finalità della certificazione delle competenze” (https://www.miur.gov.it/-/d-m-742-del-3-10-2017-finalita-della-certificazione-delle-competenze-).

“La certificazione delle competenze descrive i risultati del processo formativo al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado, secondo una valutazione complessiva in ordine alla capacità di utilizzare i saperi acquisiti per affrontare compiti e problemi, complessi e nuovi, reali o simulati”. (DM 742/2017 art. 1 comma2)

Al decreto 742/2017 sono allegati due modelli di certificazione delle competenze, uno per la scuola primaria e uno per la scuola secondaria di I grado.

Inoltre, nel pacchetto di norme citato, vi è il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del I ciclo di istruzione (http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_Definitivo.pdf )

Nelle linee guida si precisa quanto segue:

Il modello nazionale del primo ciclo è unico e non modificabile e va pertanto utilizzato anche per alunne e alunni con disabilità. Poiché per loro la valutazione degli apprendimenti, in qualsiasi forma venga proposta, deve essere sempre coerente con il PEI, il DM 742 consente di intervenire con annotazioni che rapportino il significato degli enunciati di competenza agli obiettivi specifici, intervenendo sia rispetto alle competenze o ai loro descrittori, sia rispetto ai livelli raggiunti

Il modello è unico, ma può essere “adattato” ai singoli alunni.

“In alcuni casi il modello di certificazione ufficiale, se assolutamente non compatibile con il PEI, può essere lasciato in bianco, motivando la scelta nelle annotazioni e definendo lì i livelli di competenza effettivamente rilevabili”.

Infine si ribadisce che la certificazione delle competenze è, come la valutazione degli apprendimenti, compito del Consiglio di Classe non del GLO.

Per la scuola secondaria di II grado i passaggi normativi sopra citati non sono stati effettuati, per cui si fa ancora riferimento alle norme precedenti:

il Decreto Ministeriale 22 agosto 2007 n. 139 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” (https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/dm139_07.shtml )

e il Decreto Ministeriale 27 gennaio 2010 n.9 che dirama i modelli di certificazione dei livelli di competenza raggiunti nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (https://www.disal.it/objects/Pagina.asp?ID=11667 ).

Le linee guida ripetono quanto già detto nel primo ciclo (senza la prescrittività dei modelli) e aggiungono che “alla certificazione delle competenze non si applicano le considerazioni sulla validità del percorso ai fini del conseguimento del titolo di studio (percorsi differenziati o prove equipollenti)”.

L’unica cosa da aggiungere è la segnalazione di un altro vuoto normativo, che riguarda la generalità degli alunni delle scuole secondarie di II grado.

  1. Modelli allegati al PEI: debito di funzionamento e tabella fabbisogni

La sezione 11 del PEI è dedicata alla verifica finale e alle proposte per le risorse professionali.

In tutte le varie articolazione del PEI è prevista la fase di verifica, ed è indicato lo “spazio” in cui registrarne gli esiti.

Nelle linee guida si precisa quanto segue:

Il modello nazionale del primo ciclo è unico e non modificabile e va pertanto utilizzato anche per alunne e alunni con disabilità. Poiché per loro la valutazione degli apprendimenti, in qualsiasi forma venga proposta, deve essere sempre coerente con il PEI, il DM 742 consente di intervenire con annotazioni che rapportino il significato degli enunciati di competenza agli obiettivi specifici, intervenendo sia rispetto alle competenze o ai loro descrittori, sia rispetto ai livelli raggiunti

Il modello è unico, ma può essere “adattato” ai singoli alunni.

“In alcuni casi il modello di certificazione ufficiale, se assolutamente non compatibile con il PEI, può essere lasciato in bianco, motivando la scelta nelle annotazioni e definendo lì i livelli di competenza effettivamente rilevabili”.

Infine si ribadisce che la certificazione delle competenze è, come la valutazione degli apprendimenti, compito del Consiglio di Classe non del GLO.

Per la scuola secondaria di II grado i passaggi normativi sopra citati non sono stati effettuati, per cui si fa ancora riferimento alle norme precedenti:

il Decreto Ministeriale 22 agosto 2007 n. 139 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” (https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/dm139_07.shtml )

e il Decreto Ministeriale 27 gennaio 2010 n.9 che dirama i modelli di certificazione dei livelli di competenza raggiunti nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (https://www.disal.it/objects/Pagina.asp?ID=11667 ).

Le linee guida ripetono quanto già detto nel primo ciclo (senza la prescrittività dei modelli) e aggiungono che “alla certificazione delle competenze non si applicano le considerazioni sulla validità del percorso ai fini del conseguimento del titolo di studio (percorsi differenziati o prove equipollenti)”.

L’unica cosa da aggiungere è la segnalazione di un altro vuoto normativo, che riguarda la generalità degli alunni delle scuole secondarie di II grado.

  1. Modelli allegati al PEI: debito di funzionamento e tabella fabbisogni

La sezione 11 del PEI è dedicata alla verifica finale e alle proposte per le risorse professionali.

In tutte le varie articolazione del PEI è prevista la fase di verifica, ed è indicato lo “spazio” in cui registrarne gli esiti.

la questione non si regge neppure a livello linguistico.  Il GLO deve individuare il debito di funzionamento, l’intestazione del progetto riguarda la situazione iniziale in rapporto alle “capacità” dell’allievo e poi, Dimensione della relazione etc. “assente”, “lieve” …

Cosa è assente o lieve? La dimensione della relazione in rapporto alla situazione iniziale delle “capacità” dell’alunno? E dove si innesta il profilo di funzionamento?

Anche qui il linguaggio si avviluppa: debito di funzionamento sulle capacità? Cosa significa? Forse da qualche parte ci sono degli standard di “capacità” rispetto ai quali si va ora a quantificare il “debito” dell’alunno?

E poi, questo debito, dalle 4 dimensioni, si trasferisce automaticamente ad una classificazione, e una soltanto (ne parlo più avanti).

Il primo riquadro esce forse dall’ambiguità, dicendo chiaramente che quella che si va a definire è l’entità delle difficoltà: cade la maschera delle potenzialità. E delle difficoltà, se crediamo alle linee guida, secondo il “perimetro” tracciato dal profilo funzionale.

Il comma 2 dell’art. 18 l’ho riportato all’inizio e non ci torno.

Il comma 3 ci porta un passo in avanti negli scopi esatti di questa parte del PEI.

“Il GLO formula una proposta relativa al fabbisogno di risorse professionali per il sostegno e l’assistenza, con il fine di attuare gli interventi educativo-didattici, di assistenza igienica e di base, nonché di assistenza specialistica, nell’ambito dei range e dell’entità delle difficoltà indicati nella Tabella di cui all’Allegato C1”.

Ecco: la dizione “debito di funzionamento sulle capacità” diventa la base sulla quale si definisce (non nel testo del decreto ma nell’allegato che di esso fa parte), un range di ore di sostegno automaticamente richiedibili in relazione ai livelli di difficoltà.

Voglio soltanto segnalare l’assurdità del primo livello, in cui l’entità delle difficoltà nello svolgimento delle attività comprese in ciascun dominio … potrebbe essere assente. Se così fosse, quel bambino/ragazzo non avrebbe diritto alla certificazione, visto che questo è il quadro riassuntivo e non quello analitico, dimensione per dimensione. Voglio dire che potrebbe esserci un alunno che non ha alcuna difficoltà nelle autonomie di base, ad esempio. Ma ha consistenti difficoltà in tutte le altre dimensioni. Da qui sorge la necessità della certificazione. Ma un alunno che non ha difficoltà in alcuna dimensione, che ci sta a fare dentro la 104?

Comunque per un alunno certificato legge 104 che ha in ogni dimensione un livello di debito di funzionamento sulle capacità di livello lieve, si potrebbero chiedere da 0 a 6 ore di sostegno. Quindi anche 3 o 4 la settimana: se fa il tempo pieno su 40 ore di frequenza a scuola. Cosa assurda se si accettasse l’ottica pedagogica del PEI, che parla di sviluppo delle potenzialità: è chiaro che un alunno con lievi compromissioni, con un buon lavoro di supporto, potrebbe più facilmente avvicinarsi agli standard dei compagni e raggiungere una buona qualità della vita.

Il totale comunque non può superare l’orario di cattedra di un insegnante di quell’ordine di scuola. Nonostante ci siano montagne di sentenze che dicono diversamente.

Inoltre non si capisce come il GLO, anche accettando di lavorare su uno schema di questo genere (e secondo me non dovrebbe farlo), potrebbe passare dai diversi livelli che possono essere presenti in ciascuna dimensione ad una classificazione sommativa finale. Una dimensione che ha livello di difficoltà lieve, una grave, una molto grave e la quarta assente: che livello complessivo assomma? Ci inventiamo un punteggio?

Non vale neppure la giustificazione legata al fatto che si chiede di censire tutte le risorse potenzialmente assegnabili all’alunno raccattandole tra quelle a disposizione della scuola.

Potremmo certamente utilizzare ore di insegnante dell’organico dell’autonomia, togliendolo ad altri compiti (per esempio il recupero dei ritardi di apprendimento, per cui non ci sono altre risorse). Al di là della correttezza etica di questa indicazione (che dovrebbe restare l’ultima ratio), si tratterebbe sempre di personale non qualificato, non specializzato.

Molti anni fa un illustre pedagogista parlò dell’ “interdisciplinarità di Arlecchino” per indicare come la moda vigente al momento di parlare di interdisciplinarità, stesse generando insegnamenti in cui le varie discipline erano non integrate ma giustapposte come le toppe del vestito di Arlecchino.

Questa indicazione normativa, di formare la struttura di sostegno andando a caccia di “risorse” qua e là, assomiglia molto al vestito di Arlecchino, nuova edizione aggiornata e rivista.

Nuovi modelli di PEI: Scuola secondaria, valutazione del comportamento e quadri orari

In questo articolo, grazie agli spunti di Graziella Roda e partendo dall’analisi dei nuovi modelli di PEI, analizzeremo:

1.     Scuola secondaria di II grado: Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento

2.     La valutazione del comportamento

3.     Quadri orari e dettagli sulla partecipazione dell’alunno alla vita complessiva della classe e della scuola

  1. Scuola secondaria di II grado: Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento

Per la generalità degli allievi è stato emanato il Decreto Ministeriale 4 settembre 2019 n. 774, che però non si occupa di allievi certificati. Infatti, nelle premesse del decreto, si legge quanto segue: “CONSIDERATA l’opportunità di riservare ad un successivo provvedimento la predisposizione di apposite Linee guida per gli studenti con disabilità frequentanti i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento di cui al presente decreto, coinvolgendo le associazioni di riferimento e l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica”.

Queste linee guida non risulta siano state pubblicate finora, dopo 18 mesi dall’emanazione del decreto “generalista”.

Quindi, affrontando la parte del PEI dedicata ai PCTO, non è tanto complicata la compilazione del modello quanto la strutturazione dei percorsi che non sono supportati dalle nuove linee guida.

Ed è davvero contraddittorio che si richiami in continuazione la necessità di essere inclusivi e non precludere alcuna esperienza formativa agli alunni certificati, poi si arrivi a quasi due anni dalle norme per tutti senza essersi efficacemente occupati di quelle per gli alunni certificati. Credo che l’idea di indicazioni specifiche per gli alunni certificati, in questo caso, non sia una vera e propria discriminazione, quanto il riconoscimento delle infinite complessità (e anche degli enormi ostacoli) che questo processo comporta. Ma è emarginante il fatto che le indicazioni specifiche per gli studenti con disabilità non siano ancora state emanate.

Ed è curioso che nelle linee guida allegate al decreto sui nuovi PEI, nella parte in cui si illustra la struttura per i PCTO non si faccia cenno alcuno alla mancanza di questo fondamentale tassello.

Per il resto, nel modello di PEI sono indicate 3 categorie di PCTO (aziendale, scolastico, altro) di cui si chiedono alcuni dettagli fondamentali.

  1. La valutazione del comportamento

Il punto 8.5 nei nuovi PEI è dedicato specificamente alla questione del comportamento, ovviamente in relazione a problemi comportamentali di particolare rilevanza rilevabili in contesto scolastico ed eventualmente anche a casa o nell’extra-scuola.

Occorre innanzi tutto indicare quanto segue:

A – Il comportamento è valutato in base agli stessi criteri adottati per la classe

B – Il comportamento è valutato in base ai seguenti criteri personalizzati e al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Nel successivo punto 9 c’è un approfondimento particolare proprio sulla prevenzione e gestione delle crisi comportamentali a scuola. Si tratta di uno spazio lasciato bianco e quindi liberamente compilabile.

Per aiutare le scuole ad affrontare la questione delle crisi comportamentali, l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna ha pubblicato una nota reperibile al link seguente: https://www.istruzioneer.gov.it/2018/07/18/prevenzione-e-gestione-delle-crisi-comportamentali-a-scuola-ii-edizione/

È un insieme molto corposo di strumenti di osservazione e descrizione analitica delle crisi e del contesto in cui si presentano, e per la definizione di un piano per la prevenzione e la gestione, piano per l’intera scuola da inserire nel PTOF, e piano per il singolo alunno, da collegare al PEI, proprio in questo punto di cui ora stiamo trattando. Uno degli allegati a questa nota riguarda anche le attività didattiche concrete che possono aiutare a prevenire le crisi migliorando la comunicazione e costruendo contesti più adeguati alle esigenze o alle difficoltà dei singoli alunni.

  1. Quadri orari e dettagli sulla partecipazione dell’alunno alla vita complessiva della classe e della scuola

Il quadro 9 è una specie di quadro orario amplificato, in cui si registrano gli orari dell’alunno e quelli delle persone che gli sono collegate (insegnanti di sostegno, educatori, personale ATA per l’assistenza personale, ecc.).

Viene chiesto di precisare con esattezza in quali momenti l’alunno non è in classe, perché, cosa va a fare, dove, con chi e per quali obiettivi.

Non dovrebbe più presentarsi la questione dell’alunno disabile che puntualmente esce dalla classe dopo i primi 5 minuti e vaga da un laboratorio ad un altro, da un’auletta di sostegno ad un’altra.

Viene inoltre chiesto di precisare se, in modo continuativo, l’alunno deve assentarsi da scuola. Non si tratta di un orario “creativo” ma di far fronte ad effettive necessità. Ad esempio le due ore settimanali di logopedia programmate in orario scolastico, o le ore di psicomotricità.

Un altro punto fondamentale riguarda le visite o le uscite didattiche. È capitato tante volte, troppe volte, che la classe parte in gita o va da qualche parte e l’alunno certificato viene lasciato a scuola. Le scuse trovate sono le più creative.

In questo modello di PEI fin dall’inizio dell’anno scolastico occorre precisare quali gite o uscite didattiche si pensa di fare per la classe e come l’alunno certificato partecipa ad esse, quali ostacoli occorre rimuovere, avendo tempo per farlo, e cosa occorre predisporre affinché tutto fili liscio.

Bisogna essere chiari: se avendo pensato a tutto si scopre che la partecipazione dell’alunno certificato è impossibile … si cambia attività, non si lascia l’alunno a casa. Se non ci si può andare tutti, allora si va in un altro posto.

Infine nel modello di PEI c’è spazio per raccordare le attività scolastiche e quelle extrascolastiche, richiamando il punto iniziale in cui si parlava, appunto, di raccordo tra PEI e PI.

Questo per sottolineare ancora che l’esperienza di vita che l’alunno con disabilità vive, deve essere coerente e coordinata; tutti gli attori devono “tirare dalla stessa parte”.

Donne e disabilità: la discriminazione multipla

Secondo quanto è emerso dall’ultima ricerca condotta dalla Fish alla fine dello scorso anno sul tema delle violenze nei confronti delle donne con disabilità, circa il 63% del campione delle persone intervistate ha dichiarato di aver subito nel corso della propria vita almeno un abuso. Si va dalla violenza psicologica, riscontrata nella metà dei casi, a quella sessuale, che ha coinvolto circa una persona disabile su tre, tra quelle intervistate. E ancora: atti di violenza fisica ed economica che sono stati riscontrati in tantissimi altri casi.

Sono i dati e le storie di vita che emergono dal progetto “Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica”, promosso dalla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, nell’ambito del quale sono state condotte due distinte ricerche. La prima edizione si è conclusa nel 2019 ed è stata svolta in collaborazione con l’associazione Differenza Donna, mentre la seconda è stata curata interamente dalla Fish.

«È la discriminazione multipla, quella che colpisce le persone che si trovano in una doppia condizione», dice Silvia Cutrera, vice-presidente nazionale della Fish e responsabile del gruppo donne della Federazione: «essere una donna con disabilità, infatti, vuol dire subire una doppia discriminazione. Perché si tratta di confrontarsi con tutte le barriere che già limitano o impediscono alle persone con disabilità la piena partecipazione alla vita sociale e il godimento dei propri diritti e delle libertà fondamentali». Una condizione di esclusione che si è aggravata, ulteriormente, durante la pandemia, un periodo in cui sono aumentate le richieste di aiuto ai numeri anti-violenza, così come è peggiorata la condizione lavorativa e sociale delle donne con disabilità e delle caregiver.

Prosegue Cutrera: «il combinato disposto di queste due condizioni di esclusione provoca, altresì, un effetto moltiplicatore sulle disuguaglianze, rendendole non solo più discriminate rispetto alle altre donne, ma anche, ovviamente, rispetto agli altri uomini con disabilità. E con particolare riferimento ai contesti familiari, domestici o di cura, perciò, producendo discriminazioni multiple».

E ancora, la vice-presidente Fish ribadisce che «la mancanza di dati specifici e statistiche elaborati dagli enti pubblici sulle discriminazioni che colpiscono le donne e le ragazze con disabilità, rendono anche impossibile l’analisi sulla loro partecipazione alla vita sociale e così il riconoscimento di pari opportunità in tutti i settori della vita, ostacolandone, di fatto, l’adozione di misure e azioni politiche dedicate».

E poi conclude così – Silvia Cutrera – ricordando l’evento digitale, il digital talk sulla vita indipendente che si terrà oggi, 8 Marzo, a partire dalle 17 sulla piattaforma zoom: “Siamo donne”, che si apre con una mostra fotografica curata da Massimo Podio, prima di lasciare spazio alle riflessioni delle donne con disabilità, per poter rendere visibili così le loro vite, e le loro storie.

Nel frattempo, «la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, quotidianamente, non solo l’8 marzo», dichiara il presidente della Fish, Vincenzo Falabella: «continuerà ad assumere il compito di stimolare e informare, raccogliendo e diffondendo quei dati che promuovano la consapevolezza rispetto alle discriminazioni multiple, per far sì che vengano adottate politiche e strategie adeguate, in linea con gli atti internazionali come la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità». Non soltanto. Continua Falabella: «le politiche da adottare, in questo stesso senso, dovranno tener conto della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, e delle norme previste dalla nostra carta costituzionale». E poi conclude: «una speranza, senza dubbio, viene dall’Agenda dell’Onu che, tra i suoi 17 obiettivi da raggiungere per il 2030, prevede di raggiungere l’uguaglianza di genere».

Per cominciare a costruire un mondo migliore in cui nessuno venga più lasciato indietro, «in questo 8 marzo, proprio come ogni anno, alziamo la voce per condannare le discriminazioni multiple e intersezionali che noi donne continuiamo a subire e per chiedere che la società e i poteri pubblici adottino un’agenda inclusiva che abbracci la diversità delle donne senza eccezioni», come si ribadisce, proprio oggi, nella “dichiarazione femminista” elaborata dall’European Disability Forum.

ANGSA Umbria è parte di Agrisocial Network

Ha preso il via formalmente l’attività del Gruppo Operativo “AGRISOCIAL NETWORK”, il contratto di rete che riunisce Cooperative Sociali, Imprese Agroalimentari, Associazioni ed Enti di Ricerca finanziato dal PSR UMBRIA con la misura 16.1.
“Il progetto è stato promosso da Confcooperative Umbria e Legacoop Umbria – esordiscono Carlo Di Somma ed Andrea Bernardoni presidenti del settore della cooperazione sociale delle due Centrali Cooperative – e vede coinvolte le più rilevanti ed innovative cooperative sociali di tipo a) e di tipo b) operanti in Umbria”.
Nel contesto del gruppo operativo, ANGSA Umbria offrirà il suo modello di servizio nel campo dell’agricoltura sociale e in particolare per quanto riguarda il suo centro diurno semi residenziale per soggetti autistici contestualizzato in campagna, La Semente, a cui è seguita una spin off impresa agricola sociale per gli inserimenti lavorativi.
“Il partenariato coinvolge 42 attori – esordisce il Presidente del Gruppo Operativo e Segretario Regionale di Confcooperative Lorenzo Mariani – e per numero e qualità dei soggetti coinvolti è il più rilevante Gruppo Operativo incentrato nell’agricoltura sociale finanziato dai PSR Regionali. Obiettivi principali del progetto sono sostanzialmente tre: dare valore aggiunto ai prodotti dell’agricoltura sociale attraverso la predisposizione di un disciplinare di certificabilità ed un marchio di riconoscibilità; la codificazione di processi produttivi in agricoltura volti all’inclusione lavorativa; la definizione di un processo di accreditamento dei servizi socio-sanitari connessi all’agricoltura sociale”.
“Il progetto è assai complesso – prosegue il Project Manager Enrico Libera – con 3 filoni principali che si dipaneranno in 10 azioni e 41 sotto-azioni. In questo percorso ci avvarremo del supporto scientifico dell’Università di Perugia, dell’Università di Pisa e dell’Euricse di Trento”.
“La Giunta Regionale osserva con grande attenzione la crescita del fenomeno delle fattorie sociali – esordisce l’Ass. Roberto Morroni – preannunciando la prossima pubblicazione di un bando con 1,8 milioni di euro per le imprese che praticano agricoltura sociale”. “E’ auspicabile che dal GO possano scaturirne reali opportunità di valorizzazione commerciale unitamente a contenuti utili per portare a compimento il percorso regolamentare della Legge sulle fattorie sociali ed i presupposti per l’accreditamento dei servizi rieducativi, terapeutici e riabilitativi connessi all’agricoltura sociale”.

Raccomandazioni della Linea Guida per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico

Pubblichiamo di seguito un documento che rappresenta la versione finale delle raccomandazioni cliniche che hanno completato l’intero processo previsto dal Manuale metodologico per la produzione di Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità, inclusa la consultazione pubblica e la revisione esterna indipendente.

Lo potete trovare di seguito a questo link, aggiornato al febbraio 2021 e a cura del Servizio Comunicazione Scientifica dell’Istituto Superiore di Sanità:

Raccomandazioni della Linea Guida per la diagnosi e il trattamento di bambini e adolescenti con disturbo dello spettro autistico

Nuovi modelli di PEI

In questo articolo, affronteremo, grazie al prezioso lavoro riassuntivo di Graziella Roda, che ci fornisce il testo, il difficile percorso legato a quella parte del PEI che è dedicata al curricolo dell’alunno e alla progettazione disciplinare.

a)     Curricolo dell’alunno (da art. 10 comma 1)

Senza entrare nel merito della questione del curricolo scolastico, Roda ricorda soltanto e in breve cenno, che con “curricolo scolastico” si intende tutta la progettazione che ogni singola istituzione scolastica compie, rispettando i limiti posti dalle norme generali nazionali. La progettazione è orizzontale, cioè anno per anno di studio, e verticale, per dare unitarietà al percorso degli studenti nel corso di tutta la loro carriera scolastica.

Poiché per norma di legge i curricoli scolastici devono essere inclusivi, questa parte del PEI è dedicata a collegare il percorso di ciascun singolo alunno certificato con tutta la progettazione generale della scuola, che già deve contenere gli “agganci” affinché questo collegamento sia efficace ed autentico (non soltanto dichiarato sulla carta).

Quindi credo di interpretare correttamente l’impostazione pedagogica e didattica di questo modello di PEI dicendo che:

–         tutta la prima parte, dedicata alle 4 dimensioni, riguarda la ricerca del potenziale individuale dell’alunno, e il suo effettivo sviluppo

–         nella seconda parte si va invece ad esplorare la progettazione curricolare della scuola individuandovi tutti collegamenti che possono consentire il perseguimento degli obiettivi dell’alunno certificato nel lavoro comune con i suoi compagni (non soltanto quelli della classe ma di tutta la scuola).

Certamente, a questo punto, sarà fondamentale che il PTOF e la progettazione del curricolo della scuola siano davvero inclusivi, e quindi rendano agevole il lavoro del GLO nell’individuare tutti i punti di intersezione dei percorsi individuali dentro i percorsi comuni.

  1. b)Verifica conclusiva degli esiti (da art.10 comma 5)

Sulla “verifica degli esiti” c’è in effetti un po’ di confusione. Innanzi tutto si va a salvaguardare il principio che la valutazione degli apprendimenti è di esclusiva competenza dei docenti, anche in caso di alunni con disabilità (e questo è bene ribadirlo, viste alcune situazioni che abbiamo incontrato).

Poi però si assegna al GLO il compito di verificare l’adeguatezza del percorso tratteggiato (“il GLO verifica … se l’impianto complessivo della personalizzazione abbia funzionato o meno”).

Andare a verificare gli esiti, in caso di obiettivi non raggiunti, implica presumere che gli obiettivi fossero mal formulati, oppure scelti in modo errato i contenuti o i mezzi o i metodi. Quindi si riflette su cosa si è fatto e come lo si è fatto; in caso non abbia funzionato, la responsabilità, in poche parole, è del mondo adulto che deve riprogrammare i propri interventi.

Per questo l’aggettivo “conclusiva” dopo il sostantivo “verifica” non va inteso, secondo me, come “effettuato al termine dell’anno” ma effettuato ad ogni tranche di lavoro programmato, per consentire di riprogrammare velocemente quello che è necessario. Quindi verifica continua e non sommativa.

  1. c)Esonero da alcune discipline (da art. 10 comma 2)

Innanzi tutto cerchiamo di comprendere da dove possa essere spuntata fuori la questione “esonero”. In effetti sembra venire non dalla normativa sulla disabilità ma da quella sui disturbi specifici di apprendimento. Per questi ultimi, infatti, è prevista la possibilità, per le lingue straniere, di sostituire le prove scritte con prove orali oppure di chiedere “l’esonero” dallo studio delle lingue straniere, che nella scuola secondaria di II grado comporta il rilascio dell’attestato di competenze e quindi non porta al diploma.

Nella normativa per la disabilità, la possibilità di estrema personalizzazione del percorso di apprendimento consente già che alcuni studenti (in modo particolare quelli con disabilità intellettiva grave) possano evitare di affrontare discipline troppo complesse per loro: un alunno con QI 50 non potrebbe affrontare greco o latino, né certamente matematica ad un livello superiore alla semplice aritmetica (ammesso che ci arrivi).

Quindi nelle prime 3 opzioni dell’art. 10 comma 2 del decreto è già descritto ogni possibile intervento di personalizzazione: non si capisce a cosa serva questa questione dell’esonero.

A questo proposito vale ricordare, viste le tante polemiche di cui si trova traccia sui mezzi di comunicazione, che – in ogni caso – esonero da una disciplina non significa esonero dalla presenza in classe durante quelle lezioni: in ogni caso anche ora un alunno con disabilità importante non segue le stesse lezioni dei compagni pur restando presente in classe: nel migliore dei casi affronta temi “affini” o “paralleli” a quelli di compagni, alla cui attività partecipa con le modalità che gli sono possibili e utili.

Non si dica, quindi, che questo è un modo per cacciare gli alunni disabili dalle classi. Innanzi tutto moltissimi di loro, soprattutto nella scuola secondaria, trascorrono in classe pochissimo tempo. Non facciamo finta di non sapere come va il mondo.

La questione dell’esonero va tolta semplicemente perché è inutile e produce “rumore” sul canale comunicativo, creando ansie in un mondo che è già sufficientemente provato e sotto stress (non dimentichiamoci di cosa ha significato il lockdown per tante persone con disabilità e per le loro famiglie).

d) Alcune osservazioni (varie ed eventuali)

Nel corso delle varie comunicazioni più o meno ufficiali sulla questione della composizione del GLO, che ora girano in vari contesti, si è sentita la seguente giustificazione. Si sarebbe scritto che la famiglia “partecipa” al GLO anziché esserne parte costituente perché in seguito si concede ai componenti del GLO di poter consultare SIDI, cosa possibile soltanto ai docenti.

Questa giustificazione, se vera, è assurda. Nel punto del decreto in cui si concede la consultazione dell’anagrafe SIDI per la stesura del PEI, bastava ricordare che l’accesso è riservato ai docenti e al Dirigente (che già dovrebbero avere questo accesso, comunque, per i compiti di servizio).

Quindi, a mio avviso, le associazioni devono chiedere che l’articolo sulla costituzione del PEI venga riscritto senza ambiguità. E basta.

 Altra cosa che si sente affermare, è che con questo PEI finalmente tutto il consiglio di classe sarà chiamato a collaborare per la sua stesura e per l’applicazione.

Ricordo che la norma già vigente stabilisce la corresponsabilità di tutto il consiglio di classe nella programmazione e nell’insegnamento all’alunno certificato. La questione è che questo principio viene rispettato soltanto in pochi e meritevoli casi.

Quindi questo modello di PEI conferma semplicemente la normativa esistente (e non potrebbe modificarla in nessun caso); fornisce uno spazio “fisico” in cui disciplina per disciplina si deve scrivere cosa si fa.

Dimensioni del “funzionamento” dell’alunno

Con questo articolo, grazie allo sforzo di Graziella Roda, approfondiamo il significato delle 4 dimensioni che informano tutto il PEI, a partire dalle informazioni che sono da trarre dal Profilo di funzionamento e che costituiscono poi la base di tutto il lavoro seguente.

Nel PEI, vanno riportate le indicazioni fondamentali sulle quali poi si baserà l’osservazione in situazione dell’alunno, i suoi punti di debolezza e i punti di forza, le barriere e i facilitatori, quindi si trarranno gli obiettivi educativi, intermedi e operativi, si definiranno i contenuti, i metodi, i sussidi, le tecnologie vecchie nuove, le modalità di verifica, ecc.

Le 4 dimensioni non vengono però definite né nel decreto né nelle Linee Guida. O le si dà per scontate o si rimanda alla formazione dei docenti il compito di dettagliarle. E’ bene invece soffermarsi un attimo sul significato di queste parole, soprattutto per i genitori, che dovranno comprenderle bene dal momento che è su di esse che il loro figlio sarà descritto ed educato.

Va detto prima di tutto che queste dimensioni sono di ogni essere umano e riguardano tutto l’arco della vita. L’accentuazione che ne viene data nel PEI è legata alle difficoltà che molti alunni certificati incontrano in queste aree, proprio in relazione alla loro disabilità, e alla fondamentale importanza che assume il loro potenziamento per assicurare la qualità della vita di tali ragazzi.

Socializzazione

Per riassumere cosa si intende con il termine “socializzazione”, per tutti gli essere umani, disabili e non, un utile riferimento può essere la voce riportata nell’Enciclopedia Treccani delle Scienze Sociali, che può essere consultata on-line al seguente link: https://www.treccani.it/enciclopedia/socializzazione_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

“La socializzazione riflette il contesto sociale dello sviluppo dell’individuo e il rapporto dinamico tra individuo e società. In termini generali, essa può essere definita come trasformazione dell’essere biologico in un essere sociale caratterizzato da uno specifico modello culturale di percezione della realtà. La socializzazione comporta l’integrazione o l’adattamento degli individui in varie strutture e relazioni sociali, rappresentate dalla classe, dalla famiglia, dai reticoli, dalla scuola e dall’ambiente di lavoro”.

Quindi qui compare un primo “paletto”. Il termine socializzazione è presente nella prima fase del PEI perché qui va specificato qual è la situazione dell’alunno certificato in questo processo, ma quando si passa alla programmazione, essa riguarda tutto il gruppo classe e l’intera scuola, nonché l’ambiente di vita dell’alunno fuori dalla scuola. È tutto il contesto sociale che opera per la “socializzazione” dei suoi membri. Non è il ragazzino certificato che deve “socializzare”. È il gruppo sociale (adulti compresi) che deve costruire il proprio contesto sociale comprendendovi in modo attivo e positivo ciascuno dei suoi membri.

Interazione (sociale)

Sempre nell’Enciclopedia Treccani sopra citata, possiamo trovare il sunto anche dei vari significati attribuiti all’espressione “interazione sociale”, al link: https://www.treccani.it/enciclopedia/interazione-sociale_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

“Il concetto di interazione sociale abbraccia un vasto campo di fenomeni empirici, e si riferisce sia ad azioni quotidiane di routine (lo scambio di un saluto) che a eventi eccezionali (il divorzio tra due coniugi), sia ad azioni moralmente condannabili (la menzogna o l’omicidio) che ad azioni moralmente encomiabili (donare il sangue). Nel concetto di azione sociale non rientrano solo quei fenomeni empirici in cui si manifesta la componente ‘attivistica’ del fare rivolto verso gli altri.

Si ha un’interazione anche quando si omettono azioni attese (ad esempio il mancato aiuto da parte di una nazione a minoranze etniche perseguitate), quando si tollerano o si subiscono azioni di altri individui … I fenomeni dell’agire sociale inoltre non si limitano a processi di lunga durata, ma comprendono anche contatti fuggevoli (ad esempio lo scambio di un’occhiata). Si può inoltre parlare di interazione sia quando singoli individui agiscono orientandosi gli uni verso gli altri, sia quando più individui agiscono come gruppo, classe o équipe di lavoro”

Qui si capisce che, laddove venga richiesto di fare il punto sulle capacità di interazione sociale di un alunno con disabilità, sono molti i punti che devono essere presi in considerazione, e altrettanti saranno quelli che dovranno essere oggetto di programmazione educativa.

Ma, ancora una volta, occorre avere ben presente che le interazioni, proprio in quanto sociali, avvengono tra più persone. Se focalizzare lo sguardo sull’alunno disabile può essere necessario per comprendere le sue specifiche difficoltà (così come le sue capacità), può altrettanto essere pericoloso, perché si guarda un solo polo, mentre ce ne sono molti.

Relazione (sociale)

Interazione e relazione non sono sinonimi esatti l’una dell’altra, anche se nel linguaggio corrente vengono spesso assimilate.

Una interazione sociale può anche essere effimera (ad esempio come in una certa cultura si saluta quando si entra in un negozio e come ci si può aspettare che avvenga la risposta). Una relazione è qualcosa di più stabile, che si ripete nel tempo, che diventa consuetudine, che assume significato. Ci possono essere relazioni strette o relazioni più superficiali. Ma la competenza a gestirle e a mantenerle (o a lasciarle perdere se e quando negative) sono fondamentali per avere una vita nel mondo.

Quando si parla di relazioni, interazioni sociali e di socializzazione per un alunno con autismo non si parla soltanto o tanto delle difficoltà che il suo disturbo gli causa, ma anche e contemporaneamente del contesto che lo circonda (cioè gli altri poli della relazione); se esso sia o no competente in questa relazione, se è motivato alla relazione o se la rifugge, ad esempio.

Non si abilita un bambino autistico ad un contesto sociale se il contesto sociale non viene a sua volta abilitato. Quindi nel PEI dovrà essere scritto qual è il punto in cui l’alunno si trova, cosa si intende fare – adesso e qui – per migliorare, ma nella programmazione generale della classe e della scuola deve essere scritto cosa si fa per rendere competente la relazione di questi contesti sociali con tutti i loro componenti (non soltanto con l’alunno con autismo). Nel PEI quindi andranno rilevati i punti in cui i due percorsi si intersecano.

Comunicazione e linguaggio

Per poter vivere, agli esseri umani occorre comunicare. L’idea che vi possano essere umani che non hanno bisogno di comunicare (come si sosteneva per l’autismo fino a poco tempo fa) significa non capire la relazione inscindibile che esiste tra gli esseri umani. Gli esseri umani comunicano sempre: anche la non comunicazione è, in effetti, una comunicazione. Gli esseri umani comunicano in molti modi, consapevoli e inconsapevoli, volontari e involontari. Perché i cani capiscono così tanto di noi? Perché ci annusano. Noi emettiamo odori in relazione ai nostri stati d’animo e alle nostre reazioni, odori che noi stessi oggi non percepiamo (se non in alcuni casi) mentre i cani le avvertono nettamente (è possibile che in tempi lontanissimi, quando il linguaggio verbale non era ancora così sviluppato, anche i nostri antenati fossero in grado di comprendere i messaggi odorosi).

Focalizzarsi sulla comunicazione e sui linguaggi (al plurale è meglio che al singolare perché il linguaggio non è soltanto quello parlato/scritto, ci sono altre forme) è fondamentale nell’educazione degli alunni con disabilità e in modo particolare di quelli con autismo. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) è la branca della tecnologia, della pedagogia e della didattica che si occupa di questo settore.

Tra le molte fonti reperibili in Interne qualcosa prodotto dai CTS dell’Emilia-Romagna.

http://archivi.istruzioneer.it/emr/istruzioneer.it/wp-content/uploads/2017/11/CTS-ER_COMUNICAZIONE-AUMENTATIVA-E-ALTERNATIVA.compressed.pdf

Autonomia e orientamento (nello spazio e nel tempo)

Orientamento in questo contesto significa non decidere gli studi futuri o il lavoro, ma essere orientati nello spazio e nel tempo vissuti.

Sono le dimensioni in cui si inserisce l’esperienza umana: noi siamo in quanto siamo in un certo luogo in un certo tempo (anche se si praticano esperienze virtuali, si è sempre e comunque in uno spazio e in un tempo con il corpo fisico, mentre la mente può essere in un altro spazio/tempo. Questo è uno dei grandi pericoli del mondo virtuale: la “schizofrenia” dell’esperienza).

Autonomia significa essere capaci di fare da soli (o con un certo livello di aiuto) le azioni quotidiane, agendo nello spazio e nel tempo giusti, e facendo ciò che è opportuno, necessario, corretto, ecc.

Essere autonomi nella vita quotidiana e sapersi orientare nello spazio e nel tempo della vita vissuta sono elementi fondamentali per avere una vita e per non dover essere sempre accompagnati, seguiti, vigilati, supportati, gestiti da altri.

Dimensione Cognitiva, Neuropsicologica e dell’apprendimento

Qui è più che mai importante il supporto della componente sanitaria, che dovrà effettuare tutti i test necessari a definire il quoziente di intelligenza, le modalità cognitive, il modo migliore attraverso cui il ragazzo con disabilità conosce il mondo e se stesso e infine impara.

Sapendo che non sono “verità incise sulla pietra” ma indicazioni di possibilità, potenzialità e limiti. La storia dell’educazione ha dimostrato che i limiti possono essere spostati di molto in avanti, che le possibilità aumentano man mano che si impara e che le potenzialità sono molto più vaste di quello che ci si aspettava e addirittura più di quello che si sperava. Senza creare illusioni o falsi miti.

Imparare a capire, imparare a imparare è un lavoro lento, faticoso, minuzioso, fatto di continui errori, di cadute e di piccoli, piccoli, passi pazienti e testardi.

 

Nuovi modelli di PEI – i Gruppi di Lavoro Operativi

Grazie agli spunti e al testo di Graziella Roda sul PEI, intendiamo riprendere altri punti relativi al GLO (i Gruppi di Lavoro Operativi), e nello specifico:

–         La tempistica dei lavori

–         partecipazione da remoto

–         La partecipazione degli alunni certificati della scuola secondaria di II grado

–         Il principio di autodeterminazione

  1. a)Tempistica dei lavori del GLO

Il GLO si riunisce almeno 3 volte l’anno: all’inizio per elaborare il PEI entro il 30 ottobre come scadenza massima (cioè non oltre il 30 ottobre); a metà anno per la verifica intermedia; a fine anno per la verifica finale e la stesura del PEI provvisorio per l’anno successivo, entro il 30 giugno come scadenza massima.

Vi possono essere certamente delle situazioni oggettive nelle quali si va oltre il termine del 30 ottobre. Ad esempio l’allievo arriva ad anno scolastico iniziato o viene certificato in corso d’anno scolastico. Oppure ha un improvviso peggioramento che richiede una revisione completa del PEI già impostato (ci sono anche ragazzi con problemi di salute importanti dentro il quadro delle certificazioni). Sono tutte condizioni che vengono registrate nel PEI stesso.

In caso di un eventuale obbligo di redazione del PEI in un form nella piattaforma SIDI, la possibilità di inserimenti dopo il 30 ottobre non potrà ovviamente essere proibita.

  1. b)Possibilità di partecipazione da remoto

Ovviamente il COVID ha portato a tutta una serie di modifiche nell’assetto delle riunioni e degli incontri, ivi compresi quelli del GLO. La possibilità di partecipazione da remoto dovrebbe rimanere anche quando la minaccia COVID dovesse attenuarsi, soprattutto per i rappresentanti delle ASL che non riuscivano più, per i carichi di lavoro, a spostarsi da scuola a scuola per fare gli incontri in orario post scuola. Quindi o chiedevano i GLO nelle sedi ASL oppure li svolgevano in orario scolastico quindi necessariamente con soltanto alcuni docenti e gravi difficoltà per i genitori impegnati al lavoro. Certamente è sempre bene vedersi di persona, ma incontrarsi on line è meglio di niente.

  1. c)partecipazione ai lavori del GLO dei ragazzi certificati della scuola secondaria di II grado

Cosa dice il decreto? “È assicurata la partecipazione attiva degli studenti e delle studentesse con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nel rispetto del principio di autodeterminazione”.

Cosa dicono le Linee Guida? “Partecipazione delle studentesse e degli studenti

Come affermato al comma 11 del novellato articolo 15 della Legge 104 del 1992, nelle scuole secondarie di secondo grado è assicurata la partecipazione attiva delle studentesse e degli studenti con disabilità al GLO che le/li riguarda, nel rispetto del principio di autodeterminazione, sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. In particolare, si avrà cura di sviluppare «processi decisionali supportati», ai sensi della stessa Convenzione ONU (CRPD).

A seconda delle situazioni, l’effettiva possibilità di partecipare agli incontri può essere garantita anche considerando un percorso di autonomia e responsabilizzazione da sviluppare gradualmente, stimolando la consapevolezza, nella massima misura possibile, del diritto di autodeterminazione. Qualora si dovesse verificare un eventuale rifiuto a partecipare all’incontro per fattori personali o per altre motivazioni, sarebbe opportuno trovare altre modalità di coinvolgimento al fine di promuovere la massima partecipazione rispetto a una progettazione educativa rivolta a loro, considerando la prospettiva di autonomia della vita adulta e il principio di autodeterminazione definito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che sancisce: «Il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone»

  1. d)il principio di autodeterminazione

Forse vale la pena di soffermarsi su questo “principio di autodeterminazione” perché a senso ci pare tutti di capire di cosa si tratta ma rifletterci è meglio.

Nel PEI dovrà essere descritto l’ambiente di apprendimento in cui ciascun alunno potrà sviluppare al meglio gli obiettivi fissati per lui.

Allo stesso modo, quando si afferma che la progettazione educativa deve considerare il principio di autodeterminazione, è bene sapere di cosa si tratta, per poter richiedere gli obiettivi corrispondenti nel PEI.

Innanzi tutto il “principio di autodeterminazione” inteso come capacità di scelta autonoma ed indipendente dell’individuo è di recente comparsa sulla scena pubblica e non in relazione alle persone con disabilità, ma in collegamento con le lotte delle donne

Nel mondo della disabilità questo principio si accompagna sempre alla dizione “vita indipendente”.

Quindi parliamo di una programmazione educativa e didattica che sviluppi quelle capacità che danno attuazione al principio di autodeterminazione e alla conduzione di una vita indipendente (e autonoma).

«Vita Indipendente ha a che fare con l’autodeterminazione. È il diritto e l’opportunità di perseguire una linea di azione ed è la libertà di sbagliare e di imparare dai propri errori, esattamente come le persone che non hanno disabilità. Vita Indipendente riguarda soprattutto le persone con disabilità e tuttavia chi la persegue sa che attorno a ogni persona con disabilità che sia libera, si aprono spazi di libertà per madri, padri, fratelli, sorelle, figli, figlie, mogli, mariti, compagne, compagni, amiche, amici con esse in relazione».
(Dal Manifesto per la Vita Indipendente, ENIL Italia).

Adattando un testo inglese (M.L.Wehmeyer, A Functional Model of Self-Determinatio; Describing Development and Implementing Instruction, Focus on Autism and Other Developmental Disabilities, 1999) cito le seguenti aree in cui si concretizza l’autodeterminazione. Queste aree, ripeto, devono diventare tanti capitoli della programmazione del PEI.

–         Autonomia comportamentale e comportamento autoregolato

–         Autorealizzazione

–         Empowerment psicologico e speranza appresa

Autonomia comportamentale significa essere capaci di stare in modo appropriato in un contesto. Il comportamento autoregolato comprende l’uso di strategie di auto-gestione (auto-monitoraggio, auto-istruzione, auto-valutazione e auto-rinforzo), la definizione di obiettivi realistici da raggiungere, l’orientamento al risultato, la capacità di soluzione dei problemi, di compiere delle scelte e prendere decisioni. autorealizzazione significa avere delle idee su se stessi e sviluppare i percorsi necessari a realizzarle.

Più complessa è la riflessione sull’empowerment psicologico: significa potenziare la capacità delle persone di credere in se stesse, di poter essere artefici del proprio destino (almeno in parte). La speranza appresa è il contrario dell’impotenza appresa, che caratterizza tanta attività di supporto alle persone con disabilità. L’essere costantemente vicariati e sostituiti, mentre altri fanno delle cose al posto loro anziché impegnarsi a insegnargli a fare da soli (con i necessari supporti), porta le persone con disabilità, di qualsiasi età, a “rannicchiarsi” in se stessi, a lasciar fare agli altri, ad evitare la fatica di cercare di fare da soli, per quanto possibile. Quindi il supporto vicariante finisce per le persone con disabilità per essere un elemento di involuzione o di non evoluzione.

Attenzione: per quanto impopolare possa essere quello che sto per dire, anche l’eccessivo supporto a scuola tende a rendere i ragazzi dipendenti dall’adulto. Con ciò condannandoli, nella vita dopo la scuola, ad un assistenzialismo perenne.

Il problema è che vi sono insegnanti ed educatori che non sanno come sviluppare le capacità degli alunni nei vari campi, compresa la fiducia in se stessi e la voglia di mettersi in gioco. E quindi li sostituiscono sentendosi con ciò anche molto buoni e in pace con la propria coscienza.

Non si diventa autonomi a venti anni o a trenta. Si comincia a 3 anni, per quanto, in quanto e come possibile.

Un ambiente di apprendimento adeguato deve prevedere le possibilità, i supporti, le occasioni, per imparare a fare da sé.