Riprendiamo e pubblichiamo un articolo pubblicato sul quotidiano La Stampa il 16 giugno 2017, a firma di Rosalba Miceli. Buona lettura e grazie per la discussione.
“Il “decalogo dei 10 falsi miti sull’autismo”, elaborato dal neuropsichiatra infantile Stefano Vicari (autore del libro “Nostro figlio è autistico. Guida pratica per genitori dopo la diagnosi”, Erickson, 2016), riassume i principali stereotipi e luoghi comuni sui Disturbi dello Spettro Autistico, ormai ampiamente confutati:
1) l’autismo in un bambino è determinato dallo scarso affetto dei genitori;
2) l’autismo è causato dall’accumulo di materiali pesanti, come il mercurio;
3) con un intervento psicoanalitico si può curare il bambino autistico;
4) ai bambini con autismo servono solo interventi medici;
5) l’autismo passa con la crescita;
6) nessuna terapia è veramente utile: in pratica, non c’è nulla da fare;
7) l’autismo è un disturbo molto raro;
8) un bambino autistico è, in realtà, un genio;
9) se il bambino parla, non può essere autistico;
10) per aiutare un bambino autistico basta l’amore.
In realtà l’autismo è un disturbo del neurosviluppo da non sottovalutare. Se nel 2000 colpiva un bambino su 700, oggi, secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo almeno 1 bambino su 160 è affetto da Disturbi dello Spettro Autistico (DSA); verosimilmente, l’incremento dei casi registrati è da ascriversi non solo ad una diagnosi più accurata, ma anche ad un aumento dei possibili fattori di rischio.
La diagnosi d’autismo viene effettuata ancora relativamente tardi, poiché la maggior parte dei bambini riceve una diagnosi dopo i due anni. Tuttavia, le possibilità per un efficace percorso terapeutico e riabilitativo si basano sulla diagnosi precoce, già a partire dal 18° mese, e su interventi frequenti e tempestivi durante le prime fasi dello sviluppo. In accordo alle più recenti evidenze scientifiche, gli interventi mirati ai bisogni di ogni persona con Disturbo dello Spettro Autistico, insieme al coinvolgimento attivo della famiglia e della scuola, potrebbero migliorare notevolmente l’evoluzione del disturbo e la qualità della vita del bambino e futuro adulto, come pure il carico familiare e il costo assistenziale.
I bambini beneficiari di tali interventi personalizzati presentano dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale. Si riscontra, presso i bambini, un’accelerazione del ritmo di sviluppo con una crescita del quoziente d’intelligenza, dei progressi nel linguaggio, un miglioramento dei comportamenti e una diminuzione dei sintomi del disturbo autistico, con un miglior adattamento all’ambiente. Questi progressi sopravvengono in 1 o 2 anni d’intervento precoce e intensivo, e la maggioranza dei bambini presi in carico (73 %) accede ad un linguaggio funzionale alla fine del periodo d’intervento (in generale attorno ai 5 anni). Inoltre, i benefici del trattamento rimangono costanti nel tempo. Secondo alcuni studi entro i 6 anni di età è possibile una uscita dalla diagnosi in una proporzione che varia tra il 3 e il 20%.
Esiste la possibilità di una diagnosi ancora più precoce, soprattutto per i bambini ad alto rischio familiare (fratelli e sorelle minori di bambini che hanno già ricevuto una diagnosi di autismo)? Un progetto avviato nel 2011 dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) riguarda il riconoscimento tempestivo di disturbi dell’età evolutiva, dedicato ai bambini ad alto rischio per autismo, e vede impegnati i reparti di Neurotossicologia e Neuroendocrinologia dell’ISS insieme ad altre unità operative di quattro regioni: Lombardia (Unità operativa IRCCS Medea), Toscana (Stella Maris), Lazio (Bambino Gesù, Campus Biomedico) e Sicilia. Ai bambini ad alto rischio viene somministrato un protocollo di sorveglianza e di valutazione del neurosviluppo nei primi 18 mesi di vita con l’obiettivo di individuare bambini con Disturbo dello Spettro Autistico prima dei due anni e inserirli da subito in un programma di intervento terapeutico personalizzato.
I risultati di una ricerca, condotta su un campione di 59 bambini ad alto rischio, pubblicato su Science Translational Medicine (Vol.9, Issue 393) segnalano la possibilità di una diagnosi ancora più precoce. Scansioni di risonanza magnetica funzionale (fMRI), che permettono di osservare le aree attive nel cervello, in neonati a 6 mesi di età, sono in grado di predire con una buona approssimazione quali di loro in seguito svilupperanno un Disturbo dello Spettro Autistico (11 bambini, tra quelli considerati, hanno ricevuto la diagnosi di autismo a due anni). I bambini esaminati fanno parte dell’Infant Brain Imaging Study (IBIS) che segue lo sviluppo di più di 300 baby sibs (fratelli e sorelle minori di bambini che hanno già ricevuto una diagnosi di autismo).
Lo studio, guidato da un team della University of North Carolina, parte dall’ipotesi che le anomalie neuroanatomiche e funzionali tipiche dell’autismo si strutturino prima che emergano i sintomi verso il secondo anno di età. I ricercatori hanno analizzato in particolare le connessioni tra le regioni cerebrali più direttamente colpite dai Disturbi dello Spettro Autistico (tra cui quelle che sovraintendono al linguaggio, alle interazioni sociali, ai comportamenti ripetitivi e stereotipati).
Gli autori hanno poi usato tecniche di apprendimento automatico (machine learning) in grado di apprendere a riconoscere delle configurazioni caratteristiche (pattern) nelle immagini di scansioni cerebrali dei soggetti autistici rispetto ad un gruppo di controllo. L’algoritmo ha individuato correttamente 9 degli 11 bambini con autismo, e identificato correttamente tutti quelli che non hanno successivamente sviluppato il disturbo.
Tuttavia, gli studi necessitano di essere replicati su un campione più grande, prima di essere usati a scopo clinico. Ma l’entusiasmo dei ricercatori è grande, poiché si apre la possibilità di una diagnosi veramente precoce nei soggetti a rischio e alla presa a carico ad un’età dove alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati”.